181 a.C.-2019 d.C. Aquileia

di BRIZZI G., in «Corriere della Sera – La Lettura» n. 377 (Domenica, 17 febbraio 2019), pp. 6-7.

Cominciano le celebrazioni per i 2.200 anni dalla fondazione della città che per un breve periodo fu insediamento celtico e subito dopo colonia latina. Un gruppo di Galli si era stabilito da queste parti perché aveva trovato la piana incolta e deserta, «inculta per solitudines», ma non aveva intenzioni bellicose. Roma, tuttavia, ancora spaventata dal ricordo di Annibale, li aveva cacciati. Da qui inizia la biografia entusiasmante di una realtà urbana.

Duemiladuecento anni. Tanti ne sono trascorsi da quando, nel 181 avanti Cristo, al centro della piana del Friuli, in vista delle Alpi Giulie, nacque Aquileia; ma la gestazione era cominciata cinque anni prima, ed era stata frutto del metus, della paura. Nel 186 avanti Cristo un gruppo di Galli, da oltralpe, passò nei territori dei Veneti con il proposito di insediarsi su quelle terre; e scelse, trovandola incolta e deserta (inculta per solitudines) l’area su cui sarebbe poi sorta Aquileia. Il fatto non piacque ai Romani, che, quando lo appresero, ne furono spaventati. Quel movimento pareva inserirsi in un quadro geostrategico globale: nel 188, nelle acque d’Asia Minore, era stata arsa, dopo il trattato di Apamea, l’ultima grande flotta mediterranea, quella del re di Siria, annullando la minaccia di una futura invasione via mare dell’Italia; e il 187 aveva visto nascere con la via Emilia, lungo il confine politico della penisola, l’Appennino, una linea difensiva — prefigurazione dei futuri limites dell’impero? — destinata entro pochi anni a collegare ben sei colonie militari, da Rimini a Piacenza. L’arrivo degli intrusi allarmò così un senato afflitto dalla paranoica paura postannibalica, che temette forse un pericolo più grave del reale; e, diffidando della smania revanscista del macedone Filippo V, che si diceva fosse pronto a muovere i barbari Bastarni dalle sedi balcaniche per scagliarli contro l’Italia, credette trattarsi di un’avanguardia dell’invasione.

L’area del Foro romano, Aquileia.

A dissipare l’incubo bastò un’ambasceria oltre le Alpi. Avendo appreso che il passaggio in Italia era stata una decisione spontanea dei nuovi venuti, il senato intimò loro di andarsene, e mosse le legioni (183 a.C.). Fu il console Marcello a distruggere il nascente insediamento celtico, etiam invito senatu secondo Plinio (Naturalis historia, III, 131). Dopo avere comunicato loro che la cerchia alpina doveva rimanere inviolata, verso i Galli si mostrò però una certa indulgenza; e li si ricondusse incolumi alle loro sedi. Si decise allora la deduzione di una nuova colonia latina; e a fondarla furono inviati i triumviri Publio Cornelio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino, ricordato in un’iscrizione aquileiese di età repubblicana. Grazie alle condizioni della regione si poterono allettare i tremila coloni (per una popolazione forse di diecimila anime in tutto) offrendo loro cospicui lotti di terra: 50 iugeri per ogni colono, 100 per i centurioni, 140 per i cavalieri.

L’origine di Aquileia è interamente romana: le terre occupate dai Celti erano inculta per solitudines e del loro insediamento, impianto provvisorio e non città, nulla sembra essere rimasto, mentre l’unico luogo che il mito classico rivendichi al Friuli più antico non è una polis, come la troiana Padova, ma la sede di un culto naturale, lo sbocco del Timavo al mare. Non distante a sua volta dall’Adriatico, in una zona paludosa lungo il fiume Natisone, a dieci anni dalla fondazione Aquileia non aveva ancora completato il circuito delle mura; tanto che Marco Cornelio Cetego, cui si deve anche la bonifica del luogo, vi dedusse nel 169 a.C. un secondo nucleo di 1.500 coloni, portando gli abitanti al numero di circa 15 mila.

Rito di fondazione della città. Rilievo, calcare locale. Aquileia, Museo Archeologico Nazionale.

Avamposto oltre il territorio degli alleati Veneti, la città è, ancora per Ausonio (Ordo Urbium Nobilium, 7), nel IV secolo, «colonia latina posta di fronte ai monti d’Illiria». Sentinella avanzata, e dunque claustrum, o base per future conquiste, Aquileia rimase poi sempre un centro strategico vitale; e partecipò a tutte le guerre contro le popolazioni locali. Difensive, dapprima: già nel 178 a.C. scoppiò un conflitto contro gli Istri, sospetti di intesa con la Macedonia. Durante l’ultima guerra macedonica, avendo progettato di propria iniziativa una spedizione verso l’Istria e l’Illirico interno, Gaio Cassio Longino ricevette un rabbuffo da parte del senato, convinto che il console dovesse agire solo a protezione di Aquileia e preoccupato all’idea che la sua iniziativa «aprisse la via verso l’Italia a tanti popoli diversi» (Livio 43, 10, 1); timore condiviso dagli aquileiesi, che proprio allora lamentarono l’incompletezza delle mura. Più marcatamente offensive furono invece le guerre condotte da Sempronio Tuditano contro gli Istri (129 a.C.) e da Emilio Scauro contro i Carni (119 a.C.).

Un diverso carattere della città richiama la sfortunata campagna di Gneo Papirio Carbone contro i Cimbri (113 a.C.). Polibio (in Strabone 4, 6, 12) ricordava che già al tempo suo era stato scoperto l’oro nel territorio dei Taurisci Norici; e in quantità tale da provocare, sembra, da parte di imprenditori italici una vera «corsa» cui pose un freno l’azione dei reguli locali. In difesa di costoro, protetti da Roma, Carbone affrontò i Germani, e ne fu sconfitto a Noreia, centro del Norico. Nello stesso passo in cui dice Aquileia «fortificata a baluardo contro i soprastanti barbari», Strabone (5, 1, 8) ne sottolinea anche il carattere di emporion, centro propulsore per una politica di penetrazione commerciale verso le regioni d’oltralpe. Favorita sia dal porto-canale navigabile che giungeva nel cuore della città, sia dall’articolata rete di vie sorte in successione e raccordate con l’Emilia e la Postumia — l’Annia o la Iulia Augusta, la Gemina o la strada per il Norico, l’asse per Emona-Ljubljana o quello per Tarsatica — la città continuò a svilupparsi.

Municipium cittadino dopo la guerra sociale, iscritta alla tribù Velina, Aquileia entrò a far parte del territorio italico dopo Filippi; e divenne il centro della X regione augustea, chiamata Venetia et Histria. Nell’inverno 59-58 a.C. Cesare vi tenne tre legioni. Augusto vi soggiornò a più riprese, al tempo delle guerre in Germania e in Pannonia; e con lui la famiglia, Tiberio, la figlia Giulia (che vi perdette l’unico figlio nato dall’unione con Tiberio) e la moglie Livia (estimatrice del Pucinum, un vino locale cui si dice attribuisse la sua longevità).

Mosaico con fiocco, tralci di vite ed edera. Metà I sec. a.C. Aquileia, Museo Archeologico Nazionale.

Con la conquista delle terre fino al Danubio l’importanza militare della città parve scemare; ma non fu che un attimo. Di qui sarebbero passati imperatori legittimi, pretendenti al trono e orde di barbari; non senza danni. Nel 69 le legioni del Danubio toccarono più volte Aquileia, facendo anche preda in città. Di qui mossero, da e per la Dacia, Domiziano e Traiano; e vi soggiornarono Marco Aurelio e Lucio Vero (morto ad Altino) quando, secondo Ammiano (39, 6, 1) la città aveva già superato grazie alle difese riattate per tempo l’assedio di Quadi e Marcomanni (mentre venne distrutta Opitergium-Oderzo). Anche Aquileia fu colpita allora dalla pestis antonina, che avrebbe fatto strage nell’impero. Nel 193 d.C. gli aquileiesi, atterriti dal numero (e dall’aspetto…) dei soldati di Settimio Severo, se la cavarono invece accogliendoli coronati d’alloro.

Ancora durante il III secolo l’Italia restava malgrado tutto il centro simbolico del potere; e per impadronirsene (o per combattere barbari sempre più pericolosi, come Alamanni e Goti) passavano da Aquileia  gli «imperatori soldati» , espressione delle terre del Danubio: Massimino «il Trace», che l’assediò invano e vi fu ucciso (238); Decio; Emiliano; Claudio II vincitore dei Goti, e suo fratello Quintillo (che vi perì suicida), Diocleziano e Massimiano, persecutori dei cristiani. Nel IV secolo proseguì la sequenza di lotte civili: vi si scontrarono Costante e Costantino II (340), poi Costanzo e Magnenzio (351), la assediò di nuovo Giuliano (361); la visitarono tra il 364 e il 386, Valentiniano I, Graziano e Valentiniano II. Nel 387, come ricorda Ausonio, vi morì, vinto da Teodosio, Magno Massimo.

Massimino il Trace. Sesterzio, Roma 235 d.C. Æ. 18, 4 gr. Recto: Providentia Aug(usta) – S(enatus) C(onsulto). Providentia, stante verso sinistra, cornucopia, scettro e globo.

Gran peso aveva assunto nel frattempo, ad Aquileia, la religione cristiana. Collegata tradizionalmente alla predicazione di Marco e al martirio del protovescovo Ermacora, la Chiesa aquileiese si sviluppò appieno dopo la metà del III secolo. Vettore del Cristianesimo nella regione e nei territori contermini fino alla Rezia, essa conobbe una straordinaria ripresa dopo la persecuzione tetrarchica. Partecipò al concilio di Arles (314) con il vescovo Teodoro; che edificò ad Aquileia la basilica e lo straordinario complesso di edifici di culto arricchiti da splendidi mosaici. Un suo esponente, Fortunaziano, apprezzato da Papa Liberio, si avvicinò in seguito agli Ariani; ma la presenza in città di Girolamo e Ambrogio portò, nel 381, a un nuovo concilio antiariano presieduto da Ambrogio proprio ad Aquileia.

Il V secolo segna la fine della città romana, poiché le reiterate devastazioni ad opera di Alarico nel 401, di Teodorico nel 439 e di Attila nel 452, con il depauperamento demografico e la conseguente mancata manutenzione di strutture essenziali come il porto e le opere di canalizzazione, produssero lo sviluppo esiziale della malaria. Con il 568 e l’invasione longobarda, la Venetia fu divisa in due parti, la terrestre dominata dai Longobardi; e la marittima (Grado, l’Istria e le isole) controllata dai Bizantini. Fu la decadenza: nel suo carme della fine dell’VIII secolo, Paolino definisce la città «speco di villici, tugurio di pezzenti». Aquileia rinacque però poco dopo ad opera del patriarca Massenzio, che di fatto, con l’aiuto di Carlo Magno, ricostruì la basilica.

Dedica al vescovo Teodoro. Mosaico, IV sec. d.C. Aquileia, Basilica patriarcale di S. Maria Assunta: Theodore felix, adiuvante Deo omnipotente et poemnio caelitus tibi traditum omnia baeate fecisti et gloriose dedicasti (“Felice te, Teodoro, che con l’aiuto di Dio Onnipotente e del gregge che ti ha concesso, hai costruito questa chiesa e gloriosamente l’hai consacrata”).

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