Arato di Soli

di I. BIONDI, Storia e antologia della letteratura greca. III. L’Ellenismo e la tarda grecità, Firenze 2004, 41-42.

Sulla biografia di Arato non si hanno molte notizie, nonostante circolassero in antico ben quattro vitae, derivate dal commentatore Boeto di Sidone. Nativo di Soli in Cilicia, si trasferì da giovane ad Atene, dove frequentò l’ambiente degli Stoici, che lasciò nella sua formazione una significativa impronta. Nel 276 da Atene si trasferì a Pella, in Macedonia, alla corte di Antigono II Gonata (276-239 a.C.), sovrano di notevole cultura e simpatizzante con il pensiero stoico, filosofo e letterato egli stesso. A Pella si trovavano altri intellettuali di prestigio, come il poeta tragico ed elegiaco Alessandro Etolo, attivo anche presso la Biblioteca di Alessandria intorno al 280 a.C.; il filosofo e poeta satirico Timone di Fliunte (320-230 a.C.); il filosofo Menedemo di Eretria, fondatore della scuola di pensiero che portava il nome della sua città natale. Molta della produzione letteraria di Arato nacque proprio in questo contesto culturale, e, però, buona parte di essa è andata perduta: come la raccolta Κατὰ λεπτόν («Argomenti leggeri»), che conteneva anche delle trenodie per defunti importanti (Ἐπικήδεια), degli epigrammi (dei quali almeno due si sono conservati in Anth. Pal. XI 437 e XII 129) e vari inni. In occasione della vittoria di Antigono sui Galati a Lisimachia (277 a.C.) o delle nozze del sovrano con Fila, figlia di Seleuco, avvenute l’anno precedente, Arato compose un Inno a Pan (un frammento del quale va forse identificato con SH 958: vd. Barigazzi 1974), andato perduto. Inoltre, il poeta scrisse delle ἠθοποιίαι ἐπιστολαί (SH 106), «lettere sulla formazione del carattere»; i suoi scritti didascalici furono significativi per la storia della letteratura antica: restano cinque titoli di opere astronomiche, che almeno parzialmente citano sezioni dei Φαινόμενα (Fenomeni), a cui si aggiunge un Κανών, in cui, fra l’altro, si descrivono le orbite dei pianeti attraverso calcoli matematici (cfr. Leonida di Taranto, Anth. Pal. IX 25, 3). Di Arato si conoscono anche sette titoli di testi che trattano di anatomia e farmacopea: si conserva un frammento sulle suture craniche. Di questi libri, tuttavia, la Ὀστολογία (SH 97) non era un’opera sull’anatomia ossea, ma più probabilmente un trattatello sulla negromanzia tramite gli scheletri.

Antigono II Gonata e Fila. Affresco, ante 79 d.C. dalla domus di Fannio Sinistore a Boscoreale.

 

Secondo le vitae I e III, Arato lasciò poi la Macedonia per soggiornare qualche tempo in Siria, presso Antioco I Sotere, fratello di Fila, dove attese alla revisione critica dell’Odissea e, probabilmente, anche dell’Iliade. Tornato in Macedonia vi rimase fino alla morte, avvenuta forse poco prima di quella del suo protettore Antigono Gonata, scomparso nel 240/239.

 

Antigono II Gonata. Dramma, zecca macedone ignota 277-239 a.C. ca. AE 6,26 g. Obverso: Pan innalza un trofeo militare (monogramma A – B).

 

L’opera maggiore di Arato, quella per cui i contemporanei lo considerarono un novello Esiodo, fu un poema in esametri, i Fenomeni, giunto fino a noi con i commenti di vari grammatici. L’opera, che forse fu commissionata da Antigono Gonata, è un trattato di astronomia; il suo autore ebbe come modello gli scritti del matematico Eudosso di Cnido (408-355 a.C.), discepolo di Platone e di Archita, filosofo pitagorico e matematico di Taranto (400 ca. a.C.).

 

London, British Library. Ms. Harley 647 (IX sec.), Arato di Soli, Phaenomena, ff. 10v-11r. Le costellazioni dei Pesci e di Perseo.

 

Il poema di Arato si apre con un’invocazione a Zeus e descrive poi la volta stellata del cielo, distinguendo le costellazioni dei due emisferi. Successivamente, il poeta espone la teoria dei circoli che dividono la sfera celeste, e il sorgere e il tramontare delle costellazioni. L’ultima parte dell’opera è dedicata alla descrizione dei segni premonitori delle variazioni meteorologiche, attraverso l’osservazione del mondo naturale e del comportamento degli animali. Per il suo contenuto, in alcuni manoscritti questa sezione del poema, che fu poi tradotta in esametri da Cicerone, porta il titolo di Pronostici attraverso i segni naturali. I contemporanei di Arato espressero giudizi molto lusinghieri sulla sua opera che, pur avendo il suo archetipo in Esiodo, si riallacciava anche al più tardo filone didascalico di Xenofane, Parmenide ed Empedocle. In particolare, ne fu molto ammirata la λεπτότης, la «sottigliezza»; un apprezzamento che rientra perfettamente nel gusto dell’epoca e che aveva la sua massima espressione in Callimaco, autore di un epigramma altamente laudativo nei confronti del poeta (Anth. Pal. IX 507; cfr. anche Leonida, Anth. Pal. IX 25). Tra l’altro, come si è ricordato, Arato stesso aveva intitolato Κατὰ λεπτόν una delle sue antologie poetiche, nome che sembra alludere proprio a questa qualità, quasi come se fosse la sua personale σφραγίς; a conferma di ciò pare essere anche l’acrostico λεπτή in Arat. 783-787. Gli antichi celebravano di Arato anche la dedizione al lavoro e le notti insonni, la sua profonda dottrina, la ripresa stilistica di Esiodo, le competenze didascaliche, ma anche la δύναμις di filosofo naturale (frutto, cioè, della sua visione stoica del mondo), che a dispetto di altri poeti-astronomi doveva essere una sua caratteristica esclusiva (cfr. Boeto di Sidone, Scholia in Aratum vetera, p. 12 f. Martin).

 

«Atlante Farnese» che regge il globo celeste. Statua, marmo, copia romana di III sec. d.C. da originale ellenistico. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

 

Già prima di lui, un allievo di Eudosso, Cleostrato di Tenedo, era stato il primo a mettere in versi le proprie conoscenze astronomiche. Altri Fenomeni – in prosa o in poesia – furono composti anche dal già menzionato Alessandro Etolo, ma anche da Ermippo di Smirne (III secolo), da Egesianatte di Alessandria (II secolo) e da Alessandro di Efeso (I secolo a.C.). Rispetto a questa tradizione, comunque, il poema di Arato riscosse un subito successo, al punto che, a scapito delle opere omonime e dell’astronomia matematica (sic), divenne ben presto un elemento fondamentale della ratio studiorum successiva: in effetti, il papiro più antico che conserva i vv. 480-494, P. Hamb. 121, risalente alla prima metà del II secolo d.C., rivela proprio il suo impiego come testo scolastico (cosa che contribuì al fiorire di un’intensa attività di commento).

 

Paris, Bibliothèque nationale de France. Ms. lat. 8878. Beatus de Liebana, Commentaria in Apocalypsin (ante 1072), f. 139v. Cielo stellato.

 

Per il lettore moderno, tuttavia, risulta difficile condividere tanto entusiasmo; però è innegabile che nel mondo antico Arato ebbe una straordinaria fortuna, come dimostra il gran numero di scienziati e di grammatici che lo lo studiarono: il più celebre di tutti fu probabilmente Ipparco di Nicea, uno dei più grandi astronomi greci, vissuto nel II secolo a.C. e autore di un dotto commento in tre libri sui Fenomeni. Inoltre, dal I secolo a.C. al IV d.C., da Varrone Atacino a Cicerone, da Germanico a Manilio e a Festo Avieno, anche la cultura romana si impegnò, con esiti diversi, nella traduzione dell’opera, mentre illustri poeti come Virgilio (Buc. III 60, Georg. I) e Ovidio (Fas. III 105-110) attinsero al testo arateo, com’è dimostrato da evidenti reminiscenze di esso. Perfino l’apostolo Paolo, nel discorso Areopagitico (Act. 17, 28-29) citò il v. 5 del proemio, senza precisare il nome del poeta (ὡς καί τινες τῶν καθ’ ὑμᾶς ποιητῶν εἰρήκασιν, «come hanno detto alcuni dei vostri poeti»), per dimostrare che non è necessario cercare Dio lontano da noi, dal momento che tutti «viviamo, ci muoviamo e siamo in Lui, come hanno detto alcuni dei vostri poeti: infatti, noi siamo sua stirpe (τοῦ γὰρ καὶ γένος ἐσμέν)».

 

Andreas Cellarius, Planisphaerium Arateum. Illustrazione, 1661, da Harmonia macrocosmica.

 

Una così vasta fortuna dell’opera di Arato, che si protrasse, attraverso le traduzioni latine, durante il Medioevo e il primo Rinascimento, fu probabilmente dovuta al fatto che il poema vide la luce in un’epoca in cui non esisteva quella distinzione fra arte e scienza per noi rigorosa e irrinunciabile; in conseguenza di ciò, esso poté essere apprezzato dal pubblico di età ellenistica come un’illustre testimonianza della poesia erudita che, riallacciandosi all’antica tradizione esiodea, si arricchiva del gusto della ricerca rara e minuziosa, tipico dei tempi nuovi, ed esponeva, con abbondanza e varietà di informazioni e con limpida eleganza di stile, il tema dell’astronomia, da sempre carico di grande attrattiva.

 

Bibliografia:

Bᴀʀɪɢᴀᴢᴢɪ A., 𝑈𝑛 𝑓𝑟𝑎𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙’‘𝑖𝑛𝑛𝑜 𝑎 𝑃𝑎𝑛’ 𝑑𝑖 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜, RhM 117 (1974), 221-246 [rhm].

Bɪɴɢ P., 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑢𝑠 𝑎𝑛𝑑 𝐻𝑖𝑠 𝐴𝑢𝑑𝑖𝑒𝑛𝑐𝑒𝑠, MD 31 (1993), 99-109.

Bᴏ̈ᴋᴇʀ R., 𝐷𝑖𝑒 𝐸𝑛𝑡𝑠𝑡𝑒ℎ𝑢𝑛𝑔 𝑑𝑒𝑟 𝑆𝑡𝑒𝑟𝑛𝑠𝑝ℎ𝑎̈𝑟𝑒 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑠, SBLeipz 99 (1952), 1-68.

Eꜰꜰᴇ B., 𝐷𝑖𝑐ℎ𝑡𝑢𝑛𝑔 𝑢𝑛𝑑 𝐿𝑒ℎ𝑟𝑒: 𝑈𝑛𝑡𝑒𝑟𝑠𝑢𝑐ℎ𝑢𝑛𝑔𝑒𝑛 𝑧𝑢𝑟 𝑇𝑦𝑝𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑒 𝑑𝑒𝑠 𝑎𝑛𝑡𝑖𝑘𝑒𝑛 𝐿𝑒ℎ𝑟𝑔𝑒𝑑𝑖𝑐ℎ𝑡𝑠, München 1977, 40-56.

Eʀʀᴇɴ M., 𝐷𝑖𝑒 𝑃ℎ𝑎𝑖𝑛𝑜𝑚𝑒𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑠 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠 𝑣𝑜𝑛 𝑆𝑜𝑙𝑜𝑖, 𝑈𝑛𝑡𝑒𝑟𝑠𝑢𝑐ℎ𝑢𝑛𝑔𝑒𝑛 𝑧𝑢𝑚 𝑆𝑎𝑐ℎ- 𝑢𝑛𝑑. 𝑆𝑖𝑛𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑡𝑎̈𝑛𝑑𝑛𝑖𝑠, Wiesbaden 1967.

Fᴀʀʀᴇʟʟ J., 𝑉𝑒𝑟𝑔𝑖𝑙’𝑠 “𝐺𝑒𝑜𝑟𝑔𝑖𝑐𝑠” 𝑎𝑛𝑑 𝑡ℎ𝑒 𝑇𝑟𝑎𝑑𝑖𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑜𝑓 𝐴𝑛𝑐𝑖𝑒𝑛𝑡 𝐸𝑝𝑖𝑐: 𝑇ℎ𝑒 𝐴𝑟𝑡 𝑜𝑓 𝐴𝑙𝑙𝑢𝑠𝑖𝑜𝑛 𝑖𝑛 𝐿𝑖𝑡𝑒𝑟𝑎𝑟𝑦 𝐻𝑖𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦, New York-Oxford 1991.

Hᴏᴘᴋɪɴsᴏɴ N., 𝐴 𝐻𝑒𝑙𝑙𝑒𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐 𝐴𝑛𝑡ℎ𝑜𝑙𝑜𝑔𝑦, Cambridge 1988 [classicsforall.org.uk].

Hᴜᴛᴄʜɪɴsᴏɴ G.O., 𝐻𝑒𝑙𝑙𝑒𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐 𝑃𝑜𝑒𝑡𝑟𝑦, Oxford 1988, 214-236.

Jᴀᴄǫᴜᴇs J.-M., 𝑆𝑢𝑟 𝑢𝑛 𝑎𝑐𝑟𝑜𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑’𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠 (𝑃ℎ𝑒́𝑛., 783-787), REA 62 (1960), 48-61 [persee.fr].

Iᴅ., 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠 𝑒𝑡 𝑁𝑖𝑐𝑎𝑛𝑑𝑟𝑒 : νωθής 𝑒𝑡 ἀμυδρός, REA 71 (1969), 38-56 [persee.fr].

Jᴀᴍᴇs A.W., 𝑇ℎ𝑒 𝑍𝑒𝑢𝑠 𝐻𝑦𝑚𝑛𝑠 𝑜𝑓 𝐶𝑙𝑒𝑎𝑛𝑡ℎ𝑒𝑠 𝑎𝑛𝑑 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑢𝑠, Antichthon 6 (1972), 28-38.

Kᴜᴅʟɪᴇɴ F., 𝑍𝑢 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑠’ Ὀστολογία 𝑢𝑛𝑑 𝐴𝑖𝑠𝑐ℎ𝑦𝑙𝑜𝑠’ Ὀστολόγοι, RhM 113 (1970), 297-304 [rhm].

Lᴇᴠɪᴛᴀɴ W., 𝑃𝑙𝑒𝑥𝑒𝑑 𝐴𝑟𝑡𝑖𝑠𝑡𝑟𝑦: 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑒𝑎𝑛 𝐴𝑐𝑟𝑜𝑠𝑡𝑖𝑐𝑠, Glyph 7 (1979), 55-68..

Lᴇᴡɪs A.-M., 𝑇ℎ𝑒 𝑃𝑜𝑝𝑢𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡𝑦 𝑜𝑓 𝑡ℎ𝑒 𝑃ℎ𝑎𝑖𝑛𝑜𝑚𝑒𝑛𝑎 𝑜𝑓 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑢𝑠: 𝑎 𝑅𝑒𝑒𝑣𝑎𝑙𝑢𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛, in Dᴇʀᴏᴜx C. (ed.), 𝑆𝑡𝑢𝑑𝑖𝑒𝑠 𝑖𝑛 𝐿𝑎𝑡𝑖𝑛 𝐿𝑖𝑡𝑒𝑟𝑎𝑡𝑢𝑟𝑒 𝑎𝑛𝑑 𝑅𝑜𝑚𝑎𝑛 𝐻𝑖𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦, VI, Bruxelles 1992, 94-118.

Lᴜᴅᴡɪɢ W., 𝐷𝑖𝑒 𝑃ℎ𝑎𝑖𝑛𝑜𝑚𝑒𝑛𝑎 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑠 𝑎𝑙𝑠 ℎ𝑒𝑙𝑙𝑒𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖𝑠𝑐ℎ𝑒 𝐷𝑖𝑐ℎ𝑡𝑢𝑛𝑔, Hermes 91 (1963), 425-448.

Iᴅ., 𝑠.𝑣. 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠, RE Suppl. X (1965), 26-39.

Mᴀᴀss E., 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑒𝑎, Berlin 1892.

Mᴀʀᴛɪɴ J., 𝐻𝑖𝑠𝑡𝑜𝑖𝑟𝑒 𝑑𝑢 𝑡𝑒𝑥𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑠 𝑃ℎ𝑒́𝑛𝑜𝑚𝑒𝑛𝑒̀𝑠 𝑑’𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠, Paris 1956.

Iᴅ., 𝐿𝑒𝑠 𝑃ℎ𝑒́𝑛𝑜𝑚𝑒̀𝑛𝑒𝑠 𝑑’𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜𝑠, in 𝐿’𝑎𝑠𝑡𝑟𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑒 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑙’𝑎𝑛𝑡𝑖𝑞𝑢𝑖𝑡𝑒́ 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑞𝑢𝑒 (𝐴𝑐𝑡. 𝐶𝑜𝑙𝑙. 𝑈𝑛𝑖𝑣. 𝑇𝑜𝑢𝑙𝑜𝑢𝑠𝑒-𝐿𝑒 𝑀𝑖𝑟𝑎𝑖𝑙 21-23 𝑂𝑐𝑡. 1977), Paris 1979, 91-104.

Pᴏʀᴛᴇʀ H.N., 𝐻𝑒𝑠𝑖𝑜𝑑 𝑎𝑛𝑑 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑢𝑠, TAPhA 77 (1946), 158-170.

Rᴏɴᴄᴏɴɪ A., 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑝𝑟𝑒𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑂𝑚𝑒𝑟𝑜 [1937], in 𝐹𝑖𝑙𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑎 𝑒 𝑙𝑖𝑛𝑔𝑢𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎, Roma 1968, 45-107.

Sᴄʜᴜ̈ᴛᴢᴇ K., 𝐵𝑒𝑖𝑡𝑟𝑎̈𝑔𝑒 𝑧𝑢𝑚 𝑉𝑒𝑟𝑠𝑡𝑎̈𝑛𝑑𝑛𝑖𝑠 𝑑𝑒𝑟 𝑃ℎ𝑎𝑖𝑛𝑜𝑚𝑒𝑛𝑎 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑠, diss. Leipzig 1935.

Sᴏʟᴍsᴇɴ F., 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑢𝑠 𝑜𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑀𝑎𝑖𝑑𝑒𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝑡ℎ𝑒 𝐺𝑜𝑙𝑑𝑒𝑛 𝐴𝑔𝑒, Hermes 94 (1966), 124-128.

Tʀᴀɪɴᴀ A., 𝑉𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑜𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑛 𝐴𝑟𝑎𝑡𝑜 [1956], in 𝑉𝑜𝑟𝑡𝑖𝑡 𝑏𝑎𝑟𝑏𝑎𝑟𝑒. 𝐿𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑝𝑜𝑒𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑎 𝐿𝑖𝑣𝑖𝑜 𝐴𝑛𝑑𝑟𝑜𝑛𝑖𝑐𝑜 𝑎 𝐶𝑖𝑐𝑒𝑟𝑜𝑛𝑒, Roma 1974², 205-220.

 

8 pensieri su “Arato di Soli

Annotazioni e osservazioni dei lettori

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.