Il Dictator clavi figendi causa

in A. MOMIGLIANO, Quarto contributo alla Storia degli Studi Classici e del Mondo Antico, parte III. Istituzioni e leggende di Roma arcaicaRicerche sulle magistrature romane, Roma 1969, pp. 273-283.

 

Denario, Roma 207 a.C. Ar. 4.36 gr. Obverso: Roma. I Dioscuri a cavallo al galoppo verso destra.

L’origine della dittatura continua a permanere, secondo l’opinione dei più tra gli storici, una specie di enigma che va risolto passando dalla storia alla preistoria romana e immaginando uno stato di cose che condizioni e spieghi ciò che, sempre secondo gli storici di tale opinione, sarebbe nella Roma repubblicana una incomprensibile stranezza costituzionale, un ritorno alla monarchia, che interromperebbe in momenti eccezionali la validità degli ordinamenti abituali. Perché, in fondo, ciò che è implicito nella teoria, che in questi ultimi tempi è stata ripresa da storici insigni[1], è appunto il carattere monarchico della dittatura, che non si potrebbe spiegare se non pensando a un periodo dello sviluppo statale romano, in cui la dittatura fosse l’ordinaria magistratura suprema annuale di Roma, come la troviamo in altre città latine[2]. Ma questa teoria – sia detto con il massimo rispetto per coloro che l’hanno sostenuta – non spiega nulla. È un’ipotesi, a cui nessun documento offre la benché minima conferma, la quale è inutile ed imbarazzante, perché non serve affatto a comprendere l’istituzione, per cui è stata formulata. È evidente che, ammessa pure l’esistenza di una dittatura annuale in Roma, sarebbe ugualmente incomprensibile il suo ritorno, dopo l’abolizione, nella forma di una magistratura straordinaria. O questa magistratura straordinaria si spiega per ragioni intrinseche, inerenti all’attività politica di Roma, e allora è errato supporre che essa costituisca un reliquato di un periodo preistorico; o questa magistratura non si spiega nella forma in cui noi la conosciamo, e allora costituisce soltanto una difficoltà di più il pensare che essa, dopo essere stata abolita, sia tornata in forma diversa. La vera caratteristica della dittatura romana è la straordinarietà: è veramente curioso volerla spiegare supponendo una magistratura ordinaria, che la preceda.

Tanto meno può soddisfare un’altra teoria[3], anche questa di rispettabile età, ma ripresa, di recente, sotto la forma di una lotta tra la tendenza sabina alla magistratura collegiale e la tendenza etrusca alla magistratura unica, la quale si esprimerebbe nell’alternanza di consoli e dittatori. L’errore di questa concezione sta nella sua possibilità, che non si traduce nella forma precisa e determinata assunta dalla dittatura in Roma e non spiega, quindi, perché coesista con la magistratura consolare (compromesso tra le due tendenze?), perché non possa durare che sei mesi (vittoria etrusca a scadenza fissa?), perché abbia funzione essenzialmente militare ecc.

È notevole che questi tentativi, non riusciti, di risolvere il problema dell’origine della dittatura siano stati formulati senza nemmeno tener conto della… soluzione, che effettivamente era già stata scoperta nei suoi elementi principali di G. De Sanctis[4], il quale trovò la magistratura, che costituiva il presupposto e il precedente della dittatura romana, cioè la dittatura latina, documentata nella famosa dedica fatta nel bosco di Nemi dal dittatore latino Egerio Levio di Tuscolo (Catone, fr. 58). La dittatura federale latina, che non poteva non essere temporanea e straordinaria, ha un’evidente analogia con la dittatura romana. Ora se si mantengono fermi il significato e la data del foedus Cassianum, che sancì l’alleanza tra Roma e la Lega latina a parità di condizioni[5], deve essere senz’altro chiaro che il documento riferito da Catone, non contenendo il nome di Roma, che avrebbe dovuto a pieno diritto partecipare alle cerimonie religiose federali, è anteriore al foedus Cassianum, cioè all’inizio del V secolo a.C., ed è quindi anche anteriore ai primi dittatori romani. Credo che, a prescindere dalle argomentazioni numerose apportate dal De Sanctis, basti questa prova a convincerci dell’anteriorità della dittatura latina. Dopo il foedus Cassianum, Roma, prima partecipa a condizioni uguali, poi con sempre più accentuata egemonia alla vita federale, tanto che più tardi le cerimonie sacrali della Lega saranno esercitate dai magistrati romani: il non vedere il nome di Roma in un documento della Lega latina, non sospetto per alcuna ragione plausibile di falsità, è la dimostrazione del tempo antichissimo a cui deve risalire.

Ma, ammessa l’anteriorità della dittatura latina, accettate le evidenti analogie con la dittatura romana, non può certo soddisfare la teoria del De Sanctis nei termini precisi in cui essa fu proposta. Per il De Sanctis, Roma avrebbe imitato l’istituzione confederale, perché l’esperienza le avrebbe dimostrato la sua utilità nei momenti più gravi. Si può obiettare che un popolo imita gli istituti altrui, quando si libera dai propri, ma difficilmente sovrappone alle sue magistrature un’altra di carattere così disforme, che implicava mutamenti radicali nella costituzione. Nel complesso questo principio dell’imitazione è ancora troppo astratto e non ci permette di scendere a un preciso momento della politica romana. La dittatura temporanea e straordinaria della Lega latina è il naturale organo direttivo di un gruppo, che si raccoglie solo quando la necessità lo costringe o quando una comune tradizione religiosa lo richiama. Perché Roma accolse questa magistratura, che non aveva nulla a che fare con la sua tradizione politica?

Il problema che io formulo in questo modo è stato discusso più volte nelle esercitazioni della scuola di G. De Sanctis ed ha avuto una soluzione, come è inevitabile in ogni dibattito, collettiva. Primo un mio compagno dell’Università, Emanuele Testa, intuì, senza addurre una vera dimostrazione, che la dittatura romana non è altro che la dittatura latina trasferita a Roma. Credo d’aver apportato a questa acutissima teoria la prova della contemporaneità del foedus Cassianum e dei primi dittatori; ed è per chiarire questo punto che io sono costretto a riprendere un concetto non mio. Mia è quindi la responsabilità di tutta la dimostrazione e di tutte le conseguenze che ne traggo, non già il merito della prima intuizione. D’altra parte non potrei accostarmi al tema specifico di questo mio articolo, la Dittatura clavi figendi causa, senza aver prima determinato con esattezza la funzione originaria del Dittatore.

Quando Roma, in seguito al foedus Cassianum, venne a trovarsi a parità di condizioni con le città latine, dovette evidentemente cooperare nel comando supremo delle guerre. E poiché il magistrato supremo era uno solo, è credibile che Roma in un primo tempo si alternasse nel comando con le città latine. In altre parole, Roma doveva eleggere anch’essa un dittatore, quando il turno la designava. La dittatura si introduceva così in Roma non già come magistratura civica, ma come magistratura federale. Questo faceva sì che la dittatura venisse considerata quale una misura straordinaria, che si prendeva soltanto nei momenti più gravi, quando o Roma aveva bisogno delle città latine o le città latine di Roma. E anche poi con il progressivo predominio di Roma, per cui essa fu considerata come l’effettiva signora della Lega e nominò da sola i magistrati, ci dovette essere un periodo in cui si distingueva tra impresa militare della Lega, con un dittatore a capo, e impresa militare della città, con i consoli.

Dissoltasi a poco a poco, più che la Lega, la coscienza dell’esistenza della Lega stessa, la dittatura apparve interamente romana e fu ritenuta un mezzo eccezionale di difesa. Ma appunto perché diventò romana, essa sparì presto; perché i Romani, quando perdettero coscienza della sua funzione primitiva, se la sentirono estranea e l’accolsero sempre di più come una misura da sopportarsi a stento per le esigenze supreme dello Stato. Perciò si deve affermare, senza ombra di paradosso, che la dittatura fu considerata come ripugnante alla costituzione romana, quando apparve come romana. L’ultimo dittatore rei gerundae causa fu, come si sa, eletto nel 216 a.C. e l’ultimo comitiorum habendorum causa nel 202 a.C., cioè precisamente in quel periodo in cui, cominciandosi a formare l’impero di Roma ed essendo ogni giorno di più necessario che i comandanti dell’esercito andassero lontano dall’Urbe, il dittatore poteva essere considerato il magistrato più adatto per queste incombenze. Invece i Romani si sforzarono di evitare questa magistratura rendendo le magistrature ordinarie atte a sostituirla. Questa è una delle ragioni principali per cui la collegialità dei magistrati con imperio andò in disuso in questo tempo: un solo pretore ebbe ciascuna provincia e soprattutto un solo console, di regola, guidò le campagne fuori d’Italia con poteri, si può dire, dittatoriali. È vero che la creazione dei pretori quali governatori delle province era una conseguenza del moltiplicarsi di queste; ma per i consoli il principio della collegialità poteva essere conservato, pur che si conservassero i dittatori. E invece si giunse in questo periodo fino alla nomina di privati cum imperio, abuso costituzionale iniziato probabilmente con P. Cornelio Scipione, che attesta la volontà di evitare il dittatore. Non è dunque il cadere in disuso della collegialità che fa sparire la dittatura, come vuole il De Sanctis[6]; ma è la tendenza ad evitare la dittatura che contribuisce in misura grandissima a far sparire la collegialità.

Come dicevo, l’identità della dittatura romana con la latina è comprovata dal fatto che il foedus Cassianum è contemporaneo all’apparizione dei dittatori a Roma. È ben noto che la tradizione annalistica (Liv., II 33, 4; Dionys., VI 95; Cic., pro Balbo, 23, 53) mette concordemente il trattato nel secondo dei consolati di Spurio Cassio (502, 493, 486 a.C.). Questa data sembrerebbe contraddire alla nostra asserzione, perché la dittatura appare qualche anno prima, nel 501, secondo Livio (II 18), nel 498, secondo Dionigi (V 71, 73). Ma la stessa incertezza delle date ci informa a posteriori ciò che è ovvio a priori, che la data del primo dittatore non si conosceva esattamente.  La tradizione doveva certamente aver conservato ricordo dei primi dittatori, ma la loro lista non fu redatta che più tardi e quindi solo più tardi poté essere costituito il parallelismo con le liste consolari. La data o meglio le date che noi abbiamo sono congetture molto trasparenti. Secondo la tradizione più comune, il primo dittatore fu T. Larcio e il primo magister equitum Sp. Cassio: la tradizione che pone M. Valerio come primo dittatore (Fest., pag. 216 L.; Liv., II 18, che la ripudia) è evidentemente una delle solite falsificazioni della vanità aristocratica. T. Larcio era di famiglia divenuta poi oscura e forse spentasi: ciò che da una parte è garanzia della sua autenticità e dall’altra spiega la falsificazione intorno al nome di M. Valerio. Ebbene T. Larcio appare come console nelle liste dei fasti appunto negli anni 501 e 498 a.C. in cui le due diverse tradizioni ponevano la sua dittatura. Possiamo constatare qui il medesimo processo di fabbricazione della cronologia dittatoriale, che si ritrova per la seconda coppia di A. Postumio dittatore e T. Ebuzio magister equitum. Livio (II 21) segue la tradizione che preferisce l’anno 499, perché vi appariva tra i consoli T. Ebuzio; mentre Dionigi (VI 2, 3) aderisce all’altra versione che stabiliva la data nel 496, perché vi appariva console A. Postumio. Le date precise vanno dunque ripudiate, ma il periodo approssimativo di tempo ci è assolutamente oscurato dai nomi di T. Larcio e Sp. Cassio. E non è senza significato, mi pare, che l’artefice del foedus tra Latini e Romani appaia come il primo magister equitum. Che se poi si volessero anche ripudiare questi primi nomi di dittatori – ciò che non credo debba farsi – resterebbe sempre fermo che la dittatura fa la sua comparsa in Roma (l’anno preciso non conta) al tempo in cui fu redatto il foedus.

A questo modo si risolve anche, senz’altro, il problema delle origini del magister equitum, diventato un grosso indovinello, da quando il Rosenberg[7] constatò che l’istituzione non aveva esatto riscontro nelle magistrature italiche e cercò di metterla in relazione all’italico magister iuventutis o simili: ciò che è sempre possibile, data la nostra ignoranza sulle reali funzioni di questi magistrati, ma non è né dimostrabile, né probabile, perché, al solito, il problema si accentra attorno alla straordinarietà della magistratura romana. La soluzione più semplice è invece che il magister equitum fosse una creazione della Lega latina, resasi necessaria per l’introduzione dei cavalli nell’esercito e per la conseguente formazione di un corpo semi-autonomo, giacché è evidente, e fu già notato[8], che il divieto (codificazione certo di un antico uso) fatto al dittatore ἵππῳ χρῆσθαι παρὰ τάς στρατείας (Plut., Fab., 4, 1) presuppone che la dittatura sia sorta quando i cavalli non erano ancora adoperati in guerra. S’intende che, come il dittatore latino è certo in relazione con le dittature locali, così anche il magister equitum è in una relazione, sia pure meno precisa, con i vari magistri italici; ma la spiegazione della sua originalità e irriducibilità ai modelli italici si ha nella stessa originalità della Lega latina.

Credo sia ormai chiaro che, per intendere la storia della dittatura romana, bisogna riportarsi a quelle esigenze che furono imposte a Roma dalla partecipazione prima e dall’egemonia poi che essa venne ad assumere nella Lega latina. Il foedus Cassianum segnò un rivolgimento nella politica romana, al quale essa cercò di adeguarsi in uno sforzo di adattamento e di trasformazione che si può osservare non solo nella dittatura, ma anche altrove. Su questo argomento, l’importanza che il compito di egemone sulla Lega latina ebbe nella storia interna di Roma, spero di poter ritornare.

La dittatura, aggiuntasi alle altre istituzioni romane, per i motivi che cercammo di chiarire, aveva questa duplice caratteristica: in quanto magistratura originariamente federale, portava le tracce delle varie funzioni a cui serviva in una Lega, non solo militare, ma anche sacrale; in quanto magistratura introdotta in Roma non era vincolata qui da una tradizione giuridica, che ne determinasse le funzioni in modo rigoroso. Queste due caratteristiche convergevano nell’unica conseguenza che la dittatura in Roma venne ad avere una struttura priva d’impacci che, congiunta con la straordinarietà e l’imperio supremo, poteva permetterle di intervenire nei casi più disparati e risolvere le difficoltà procedurali più varie. Così si spiega il moltiplicarsi delle dittature per singoli scopi, così si spiega anche il dictator clavi figendi causa. L’origine federale faceva sì che per la nomina del dittatore non occorresse la convocazione dei comizi, giacché non si trattava di eleggere un magistrato romano; inoltre permetteva che tutte le ordinarie magistrature, consoli compresi, rimanessero in carica, siano pure subordinate al comando supremo; infine concedeva l’imperium non solo militae, ma anche domi, in quanto Roma era parificata a tutto il territorio della Lega, per la quale l’esclusione dell’imperium sarebbe stata un assurdo in caso di guerra. S’intende che anche l’assenza della provocatio e dell’intercessio aveva il medesimo fondamento. Ora, trascurando quella dittatura seditionis sedandae et rei gerundae causa di P. Manlio Capitolino (368 a.C.), che ha troppi palmari elementi sospetti, si capisce che, in tali condizioni, divenissero agevoli dittature comitiorum habendorum o feriarum consituendarum causa. Il primo tipo di dittatura permetteva, senza la convocazione dei comizi, di creare un magistrato che tali comizi potesse convocare: veniva risolta in tale modo una non lieve difficoltà giuridica. Il secondo tipo permetteva, quando i consoli erano assenti, di fare compiere determinate cerimonie che competessero ai consoli da un magistrato, che, essendo superiore ai consoli, poteva assumerne le funzioni. Tanto più agevole era questo trapasso, quanto più fresco doveva essere nei primi tempi il ricordo delle funzioni sacrali del dittatore latino.

Non altrimenti che uno dei parecchi dittatori nominati per una speciale cerimonia va considerato il dictator clavi figendi causa. Noi sappiamo soprattutto da Festo (De Sign. verb., pag. 49, Lindsay) dell’uso di figgere un chiodo (clavus annalis) in parietibus sacrarum aedium per annos singulos, ut per eos numerus colligeretur annorum. Anche a prescindere da una tanto celebre quanto confusa testimonianza di Livio (VII 3, 5), che analizzeremo tosto, è ovvio pensare che la cerimonia dell’infissione del chiodo fosse compiuta dal supremo magistrato: se ora troviamo che negli anni 363, 331, 313 e 263 a.C. fu nominato un dittatore clavi figendi causa[9], ne dedurremo che in quegli anni i consoli non avevano potuto per una ragione qualsiasi presiedere alla cerimonia ed erano stati sostituiti da un apposito dittatore, precisamente come avveniva nelle dittature comitiorum habendorum o feriarum constituendarum causa. A questa soluzione, molto semplice, di quella complicata rete di questioni che si è ormai addensata intorno a questa dittatura si opporrà il passo di Livio. Rileggiamolo dunque: Lex vetusta est, priscis litteris verbisque scripta, ut qui praetor maximus sit idibus Septembribus clavum pangat; fixa fuit dextro lateri aedis Iovis optimi maximi, ex qua parte Minervae templum est… a consulibus postea ad dictatores, quia maius imperium erat, sollemne clavi figendi translatum est. Intermisso deinde more, digna etiam per se visa res propter quam dictator crearetur (VII 3, 5-9). Come si vede dal contesto, Livio si valeva di notizie raccolte da Cincio: non c’è da dubitare che questi avesse davvero vista la legge nei suoi caratteri arcaici. In sé la legge non fa nessuna difficoltà; attesta semplicemente che il console doveva piantare il chiodo alle Idi di settembre. Si potrà dubitare che praetor maximus significhi realmente console; ma in primo luogo Livio e probabilmente Cincio lo hanno preso in questo senso; poi il titolo di praetor, sia pure maximus, non è mai altrove testimoniato per il dittatore; infine – e questa è la ragione fondamentale – στρατηγός ὕπατος è la evidente traduzione di praetor maximus e ne attesta, insieme con l’antichità, l’autenticità.

Ricostruzione grafica dei Fasti Antiates, un calendario pre-giuliano. Frammenti da un affresco dalle rovine della villa di Nerone ad Anzio.

Ciò che invece è assurdo è la costruzione che Livio ha aggiunto alla notizia intorno alla lex vetusta. E dico Livio e non Cincio perché si può dimostrare, e gli elementi essenziali sono già stati visti da H. Peter[10], che Cincio non ha fornito a Livio che la notizia della lex. Mentre nel passo in discussione Livio riconnette evidentemente il dictator clavi figendi causa con il clavus annalis, poche linee sopra lo collegava con una funzione purificativa: repetitum ex seniorum memoria dicitur pestilentiam quondam clavo ab dictatore fixo sedatam. Ea religione adductus senatus dictatorem clavi figendi causa dici iussit (VII 3, 3). La stessa affermazione è ripetuta in un altro caso: itaque memoria ex annalibus repetita in secessionibus quondam plebis clavum ab dictatore fixum alienatas discordia mentes hominum eo piaculo compotes sui fecisse, dictatorem clavi figendi causa creari placuit (VIII 18, 12)[11]. Come è facilmente constatabile, Livio accoglie nella sua opera due tradizioni toto coelo differenti, di cui egli stesso ha cura di indicarci la provenienza: la tradizione annalistica parla di un clavus piantato in condizioni particolari a scopo di purificazione da un dittatore; la tradizione accolta da Cincio e documentata in una legge sa del clavus annalis confitto dal console. Livio ricorse evidentemente a Cincio per completare le sue informazioni sul clavus e trovò nozioni del tutto diverse da quelle annalistiche in proposito e allora elaborò quella spiegazione artificiosissima, secondo cui dal console si sarebbe passato al dittatore e poi a una dittatura speciale. C’è appena bisogno di dire che la spiegazione, fatta apposta per intendere il preteso passaggio dal console a un dittatore speciale, presuppone un anello intermedio, il dittatore che può assumersi annualmente l’incarico del clavus, che è un non senso nel modo più rigoroso.

Ma è agevole riconoscere donde tragga la sua origine la tradizione annalistica. Essa si trovava di fronte a pochissimi casi di una dittatura speciale. Il legame con il clavus annalis, cerimonia annua e abitudinaria, non era facile a vedersi, anche se il suo uso permaneva ancora, quando gli annalisti consultati da Livio raccolsero le loro notizie. Ciò che non è sicuro, perché noi abbiamo l’ultima testimonianza con l’ultima dittatura clavi figendi causa (263 a.C.), che non dovrebbe essere troppo anteriore al venir meno di questo uso. In caso contrario nel III secolo a.C. dovremmo vedere moltiplicate queste dittature speciali, essendo i consoli spesso lontani da Roma. Queste dittature non s’incontrano, probabilmente, perché tale costume arcaico e ormai inutile, cadde allora in disuso. Certo, quando Augusto volle rimettere in vigore l’antica cerimonia, essa era già sparita da molto tempo, ché altrimenti non si spiegherebbe come egli la potesse attribuire al censore invece che al console e la trasferisse dal tempio di Giove a quello di Marte Ultore (Dion., 55, 10, 4). La tradizione si era già da tempo spezzata, e si poteva privare il consolato e un tempio di uno dei loro privilegi, senza nemmeno forse aver coscienza di farlo. Non può costituire un argomento in contrario la nota frase di Cicerone: Laodiceam veni pridie Kal. Sext. Ex hoc die clavum anni movebis (ad Att., V 15). Cicerone non allude già a una cerimonia attuale: ripete un modo di dire, che poteva essere sopravvissuto all’uso cui si riferiva. Comunque ad ogni modo si voglia giudicare intorno all’uso del clavus annalis, è certo che gli annalisti, trovatisi di fronte a quelle poche dittature veramente singolari, non seppero metterle in relazione con il clavus annalis stesso e pensarono a una funzione apotropaica. Non è da escludere, anzi è probabile, che questa congettura fosse suggerita da qualche pratica superstizione romana, come quella ricordata da Plinio (Nat. Hist., XXVIII 6, 63): clavum ferreum defigere in quo loco primum caput fixerit corruens morbo comtiali, absolutorium eius mali dicitur. Ma non ci può essere dubbio, credo, che gli annalisti commisero un arbitrio, riferendo queste pratiche alla dittatura clavi figendi causa e creando tutta una costruzione leggendaria là dove le notizie autentiche certo non abbondavano.

Le incertezze e le confusioni che i Romani stessi avevano sull’argomento sono provate anche dalle doppie versioni che si hanno per due dei dittatori clavi figendi causa. G. Favaro[12] ha visto assai bene come in Livio (VII 3) si confondono due tradizioni, di cui una faceva L. Manlio dictator rei gerundae causa, l’altra clavi figendi causa. Lo stesso fatto è ben noto per la dittatura di C. Petelio, che, per testimonianze di Livio stesso (IX 28), era ritenuto solo da alcuni (fra questi dal compilatore dei fasti capitolini) dictator rei gerundae causa. Tanto nell’un caso quanto nell’altro vale la norma della lectio difficilior: fuor di metafora, è spiegabile che un dittatore clavi figendi causa fosse creduto del tipo solito. Perciò ritengo sia eccessivo il pessimismo del Beloch[13], che finisce con il negar fede a queste due dittature. E specialmente per la prima di esse, quella di L. Manlio, va anche osservato che ha torto K.J. Beloch stesso a credere che nel IV secolo fossero indicati solo i nomi dei dittatori e non le competenze speciali. Non si vede la ragione per cui un semplice dittatore, cioè un dictator rei gerundae causa, avrebbe dovuto essere trasformato in dictator clavi figendi causa, molto meno importante e conosciuto. Non può ugualmente convincere ciò che il Beloch oppone contro l’autenticità del dittatore del 331 a.C.: «auch der Dictator von 423/331 scheint nicht in allen Annalen gestanden zu haben (Liv., VIII 18, 2 nec omnes autores sunt, vgl…)», (pag. 37). Il nec omnes autores sunt di Livio si riferisce non alla dittatura, confermata anche dai fasti, ma ai particolari della pestilenza di quell’anno: Illud pervelim – nec omnes auctores sunt – proditum falso esse venenis absumptos quorum mors infamen annum pestilentia fecerit (VIII, 18, 2). Del resto, il Beloch, dopo aver eliminato tre dittatori, è stato costretto ad ammettere l’autenticità del quarto (263 a.C.), perché troppo in età storica; e questa è la migliore conferma dell’impossibilità di poter infirmare totalmente il valore delle testimonianze più antiche.

In tutto ciò che precede è senz’altro implicita la confutazione della vecchia teoria del Mommsen[14], che, prestando fede solo alle due dittature del 363 e del 263 a.C., riteneva secolare la cerimonia dell’infissione del chiodo: per le medesime ragioni non dovrà accogliersi la recentissima teoria del Favaro, che, seguendo inconsapevolmente gli annalisti antichi, ha cercato con molto acume di scindere la dittatura clavi figendi causa dal clavus annalis.

Quando si valutino le conoscenze positive, su cui si potevano fondare gli annalisti, si potrà difficilmente dubitare che il clavus del dittatore non sia il clavus annalis. Perciò la dittatura clavi figendi causa non solo è storica, ma rientra senza difficoltà nella storia costituzionale di Roma e in particolare nella storia della dittatura quale è qui prospettata.

 

***

[1] E. Kornemann, Klio 14, 1914, pp. 190 sgg; K.J. Beloch, Röm. Gesch., pp. 63 sgg. Il materiale concernente la Dittatura è raccolto con diligenza da F. Bandel, Die Römischen Diktaturen, Inaug. Diss., Breslau 1910.

[2] A. Rosenberg, Der Staat der alten Italiker, pp. 71 sgg.

[3] P. De Francisci, Storia del diritto romano, I, pp. 168 sgg.

[4] Storia dei Romani, I, pp. 421 sgg.

[5] Id., II, pp. 96 sgg.; Id., «Sul foedus Cassianum» in Atti del 1° Congresso Nazionale di Studi Romani, I, pp. 231 sgg.

[6] Storia dei Romani, IV, 1, pp. 501 sgg.

[7] Op. cit., pp. 89 sgg.

[8] Storia dei Romani, I, 422, n. 3 [V. oltre il saggio Procum Patricium].

[9] Per il 363 a.C., Liv. VII 3, 3 e CIL I, 1, 20; per il 331, Liv. VIII 18, 12 e N. d. Scavi, 1899, p. 384 (cfr. C. Huelsen, Klio 2, 1902, pp. 248 sgg; Th. Mommsen, Hermes 38, 1903, pp. 116 sgg.); per il 313, Liv., IX 28, 6; per il 263, CIL I, 1, 22.

[10] Hist. roman. Reliquiae, CVIIII sgg. Non entro nella questione sulla personalità di Cincio [J. Heurgon, Atheneum 42, 1964, p. 432].

[11] Seguo l’ed. oxoniense di C.F. Walters e R.S. Conway.

[12] Il «Clavus annalis» e il «Dictator clavi figendi causa» in Atti del 1° Congresso Nazionale di Studi Romani, II, pp. 223 sgg.

[13] Röm. Gesch., pp. 36 sgg.

[14] Römische Chronologie, pp. 175 sgg.

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