«I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato».
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(I. Calvino, 'Perché leggere i classici', Milano, Mondadori, 2011, p. 8)
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Q. Orazio Flacco nacque a Venosa da padre liberto – come lui stesso informa – ed esattore delle entrate (d’altra parte si è ritenuto che fosse un salumiere, dal momento che un tale in un alterco gli rinfacciò: «Quante volte ho visto tuo padre che si puliva il naso col braccio!». Durante la campagna di Filippi, allettato da Marco Bruto, che era comandante, prestò servizio come tribuno militare; quando la sua fazione ebbe la peggio, ottenuta l’amnistia, si procurò l’ufficio di scrivano del questore. Entrato in confidenza prima con Mecenate, poi con Augusto, occupò un posto non irrilevante nell’amicizia di entrambi [...]. Nato il sesto giorno prima delle Idi di Dicembre, sotto il consolato di L. Cotta e L. Torquato (8 dicembre 65 a.C.), morì il quinto giorno prima delle Calende di Dicembre, sotto il consolato C. Marcio Censorino e C. Asinio Gallo (27 novembre 8 a.C.), dopo cinquantanove giorni, dalla morte di Mecenate, all’età di cinquantasette anni, e dopo aver designato come suo erede Augusto, a voce, poiché la violenza della malattia era tale che non ebbe la forza di apporre il sigillo al testamento. Fu sepolto nell’area periferica dell’Esquilino, presso il tumulo di Mecenate.
📜 [Suet., De poetis: Vita Horatii]📜 #quintushoratiusflaccus #horace #orazio #suetonius #depoetis #vitahoratii #ancientbiographies #latinliterature #letteraturalatina #lingualatina #latinovivo #admaioravertite #civitas #respublica #romanhistory #storiaromana #accaddeoggi #todayhappened #studiahumanitatisπαιδεια #classicultit #classicalphilology
«E a questo punto sopraggiunsero, avendo dei servitori, i sicari, il centurione Erennio e il tribuno Popilio, che una volta Cicerone aveva difeso quando era imputato in un processo di parricidio. E dopo che, avendo trovato le porte chiuse a chiave, le ebbero sfondate, poiché Cicerone non si vedeva e quelli che stavano dentro dicevano di non sapere dove fosse, si dice che un ragazzo di nome Filologo, educato da Cicerone nelle lettere liberali e nelle scienze, e liberto di suo fratello Quinto, abbia indicato al tribuno la lettiga che veniva trasportata verso il mare attraverso i viali alberati ed ombrosi. Il tribuno, dunque, avendo preso con sé i pochi che erano con lui, corse verso l'uscita, mentre Cicerone si accorse che Erennio stava avanzando di corsa lungo i viali e ordinò ai servi di deporre lì la lettiga. Ed egli, come suo solito, toccandosi le guance con la mano sinistra, impassibilmente rivolse lo sguardo ai sicari, coperto di sudore e dalla capigliatura, e disfatto nel volto dalla preoccupazione, tanto che i più si coprirono il volto mentre Erennio lo uccideva. E fu ucciso mentre sporgeva il collo dalla lettiga, quando quello che trascorreva era il suo sessantaquattresimo anno. E, per ordine di Antonio, tagliarono la sua testa e le sue mani, con le quali aveva scritto le "Filippiche". Cicerone stesso, infatti, aveva intitolato Filippiche le orazioni contro Antonio e tuttora si chiamano così». (Plut. Cic. 48, 1-4)
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Il 27 novembre 8 a.C. moriva Q. Orazio Flacco, il vero grande erede dei lirici greci.
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Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
Non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam: usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine Pontifex.
Dicar qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens,
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. Sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam. 📃
[«Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo / e più alto della regale mole delle piramidi, / che né la pioggia che corrode, né lo sfrenato Aquilone / potrebbe distruggere o l'infinita / serie degli anni e la fuga del tempo. / Non morirò del tutto, e gran parte di me / eviterà Libitina; continuerò a crescere, / fresco nella lode dei posteri, finché il pontefice / salirà in Campidoglio con la tacita vestale. / Si dirà di me che, là dove risuona l'Aufidio impetuoso / e dove Dauno, povero d'acqua, regnò su popoli/ agresti, fatto grande da umili inizi, / per primo ho trasferito la lirica eolica / nei ritmi italici. Fai tuo il vanto / conquistato con i tuoi meriti e cingimi/ benigna, o Melpomene, le chiome d'alloro delfico»]. (Hor. Carm. III 30)
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O figli, […] occorre dunque che, ricordandovi delle nostre parole, anche qualora perseguiate qualcos’altro, lo facciate con virtù, sapendo che tutti gli averi e tutte le abitudini di vita disdicevoli e cattivi sono ad esso inferiori. Infatti, né la ricchezza reca onore a chi la possiede con viltà […] né la bellezza e il vigore del corpo sembrano un ornamento conveniente, ma sconveniente, quando convivono in un uomo codardo e malvagio, e anzi mettono in maggior risalto chi li possiede e ne mostrano la viltà; e ogni conoscenza, separata dalla giustizia e da tutte le altre virtù, si rivela mera astuzia, non sapienza. Per questi motivi, come primo e ultimo fine e per sempre, cercate in ogni modo di avere tutto l’impegno possibile per superare in gloria sia noi sia i nostri antenati: altrimenti, sappiate che, qualora vi superassimo in valore, la vittoria ci recherebbe disonore, mentre qualora venissimo vinti, la sconfitta ci porterebbe felicità.
ὦ παῖδες, […] χρὴ οὖν μεμνημένους τῶν ἡμετέρων λόγων, ἐάν τι καὶ ἄλλο ἀσκῆτε, ἀσκεῖν μετ᾽ ἀρετῆς, εἰδότας ὅτι τούτου λειπόμενα πάντα καὶ κτήματα καὶ ἐπιτηδεύματα αἰσχρὰ καὶ κακά. οὔτε γὰρ πλοῦτος κάλλος φέρει τῷ κεκτημένῳ μετ᾽ ἀνανδρίας […] οὔτε σώματος κάλλος καὶ ἰσχὺς δειλῷ καὶ κακῷ συνοικοῦντα πρέποντα φαίνεται ἀλλ᾽ ἀπρεπῆ, καὶ ἐπιφανέστερον ποιεῖ τὸν ἔχοντα καὶ ἐκφαίνει τὴν δειλίαν· πᾶσά τε ἐπιστήμη χωριζομένη δικαιοσύνης καὶ τῆς ἄλλης ἀρετῆς πανουργία, οὐ σοφία φαίνεται. ὧν ἕνεκα καὶ πρῶτον καὶ ὕστατον καὶ διὰ παντὸς πᾶσαν πάντως προθυμίαν πειρᾶσθε ἔχειν ὅπως μάλιστα μὲν ὑπερβαλεῖσθε καὶ ἡμᾶς καὶ τοὺς πρόσθεν εὐκλείᾳ· εἰ δὲ μή, ἴστε ὡς ἡμῖν, ἂν μὲν νικῶμεν ὑμᾶς ἀρετῇ, ἡ νίκη αἰσχύνην φέρει, ἡ δὲ ἧττα, ἐὰν ἡττώμεθα, εὐδαιμονίαν. (Platone, Menesseno, 246d-247a, passim)
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Bentrovato\a ma che blog interessante!
buona settimana
.marta
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Benvenuta a te!
Ti ringrazio, buona visita
e buon inizio settimana
Francesco
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Già, un po’ come in Parlamento da noi 🙂
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